Rifiuti culturali

di Maurizio Pallante e Andrea Bertaglio – 09/11/2010

Fonte: ilfattoquotidiano

 

La Gran Bretagna produce circa 400 milioni di tonnellate di rifiuti ogni anno, e il problema di come smaltirle è visto, anche lì, come una delle principali sfide ambientali del Paese. Il Regno Unito (anche se quello dei rifiuti è un problema quasi prettamente inglese, più che britannico) è da tempo sotto pressione per riuscire a rispettare i target europei che impongono di ridurre la quantità di rifiuti che finiscono nelle discariche e negli inceneritori, dato che (in tutta Europa) nessuno ha ancora negato il fatto che questi ultimi siano terribilmente dannosi per la salute e decisamente svantaggiosi dal punto di vista economico.

In mancanza di ministri (o primi ministri) che facciano magicamente scomparire l’immondizia sotto il tappeto come si è fatto e si vuole rifare in Campania, o che promuovano per motivi più o meno occulti gli inceneritori, il governo britannico, in realtà già dai tempi di Gordon Brown, sta cercando di scongiurare almeno il rischio delle sanzioni da 500 mila sterline al giorno che i suoi contribuenti dovrebbero pagare nel caso non dovesse rispettare, entro la fine del 2010, le regole dell’Unione riguardanti appunto lo smaltimento dei rifiuti.

La strada da percorrere, quindi, è anche lì ancora lunga. Soprattutto perché, come in Italia, è un problema culturale. Nonostante si stia giustamente parlando di riciclaggio e di riuso, infatti, nessuno ha ancora parlato di riduzione, la vera chiave del problema dei rifiuti. Il mito della crescita economica e dei consumi sarà molto duro a morire nella culla del capitalismo e dell’industrializzazione. E in un momento di ormai dichiarata crisi economico-finanziaria, nemmeno i politici più virtuosi, impavidi ed intraprendenti si sognerebbero di dire che l’unico modo per ovviare al problema sarebbe quello di ridurre i consumi, in una società iper-consumistica come quella inglese. Nessuno sarebbe ancora disposto a mettere in discussione gli stili di vita anglo-americani, che hanno ormai contagiato gran parte del globo, proprio laddove sono nati.

Forse solo alcuni scienziati indipendenti ed alcuni intellettuali hanno il “coraggio” di demistificare e di mettere in discussione i meccanismi sociali e psicologici che mantengono in moto la macchina dei consumi. Uno di questi è sicuramente il celebre sociologo britannico (seppur di origine polacche) Zygmunt Bauman, il quale afferma:

– In una società “liquido-moderna” (ossia una società nella quale le situazioni in cui agiscono gli uomini si modificano prima che i loro modi di agire riescano a consolidarsi in abitudini e procedure, ndt), l’industria di smaltimento dei rifiuti assume un ruolo dominante nell’ambito dell’economia. La sopravvivenza di tale società e il benessere di coloro che ne fanno parte dipendono dalla rapidità con cui i prodotti vengono conferiti alla discarica e dalla velocità e dall’efficienza con cui gli scarti vengono rimossi. In una società simile a nulla può essere concesso di restare più dello stretto necessario. La costanza, la resistenza e la vischiosità delle cose, inanimate e animate, costituiscono il più sinistro e grave dei pericoli, sono la fonte delle peggiori paure e il bersaglio delle aggressioni più violente. La vita nella società liquido-moderna non può mai fermarsi. Deve modernizzarsi o perire. Spinta dall’orrore della scadenza, non richiede più di essere trainata dai sogni delle meraviglie immaginate come esito estremo dei travagli della modernizzazione. Ciò che bisogna fare è correre con tutte le forze semplicemente per rimanere allo stesso posto, a debita distanza dalla pattumiera dove gli altri sono destinati a finire. […] I rifiuti sono il prodotto principale, e probabilmente il più abbondante, della società dei consumi liquido-moderna; tra tutte le industrie della società dei consumi, la produzione dei rifiuti è la più massiccia e non conosce crisi. Lo smaltimento dei rifiuti è perciò una delle principali sfide che la “vita liquida” ha di fronte; l’altra riguarda il rischi di finire tra i rifiuti.- *

Per Bauman “vita liquida” significa autoesame, autocritica ed autocensura costante; si alimenta dell’insoddisfazione dell’io rispetto a se stesso. È la paura di finire fra i rifiuti, se non abbastanza al passo con i tempi. Non è per caso la nostra attuale situazione? Il punto debole delle stesse relazioni umane al giorno d’oggi? Non è questa l’origine, ancor prima delle mafie e della cattiva gestione, di tutte le “emergenze rifiuti”, e l’origine di ogni forma di inquinamento: il continuo senso di inadeguatezza, il vuoto interiore che in molti pensano di poter riempire con un sacco di oggetti inutili dalla breve durata?

*: Zygmunt Bauman, “Liquid life”, Polity Press, 2005; edizione italiana: “Vita liquida”, Ed. Laterza, 2008

Non per profitto

Il Potere del sapere

Stiamo inseguendo i beni materiali che ci piacciono, e ci danno sicurezza e conforto: quelli che lo scrittore e filosofo indiano Rabindrath Tagore chiamava il nostro “rivestimento” materiale. Ma sembriamo avere dimenticato le capacità di pensiero e immaginazione che ci rendono umani, e che ci permettono di avere relazioni umanamente ricche invece di semplici legami utilitaristici. Se non siamo educati a vedere noi stessi e gli altri in questo modo, immaginando le reciproche capacità di pensieri e di emozione, la democrazia è destinata a entrare in crisi perché si basa sul rispetto e l’attenzione per gli altri. Questi sentimenti, a loro volta, si basano sulla capacità di vedere le altre persone come esseri umani e non come oggetti.

Martha Nussbaum, da “Non per profitto” – Edizioni Il Mulino

articolo su “Internazionale”

Diamoci del tempo

Passeggiando nei vicoli del centro storico della mia città, tra le varie piccole botteghe e attività che si possono scoprire così, a volte quasi per caso, il mio occhio si è soffermato su una piccola insegna su di un portone che recita “Banca del tempo”, sottotitolo “Ciaffé”, traducibile in italiano con “Cosa hai da fare?”, “Hai qualcosa da fare?”. Espressione che nasconde, nemmeno troppo a dire il vero, una richiesta di aiuto, un domandare del tempo all’altro, nel rispetto degli impegni dell’altro. Dedicarsi del tempo a vicenda apre ad una relazione, ad una conoscenza, oltre ad essere uno scambio di prestazioni confermemente alle proprie capacità, competenze, attitudini. Mettere da parte il valore monetario, il denaro che quotidianamente  scambiamo e utilizziamo in modo spesso anche poco consapevole, e riscoprire il valore che può avere un’ora di tempo che ci si dedica. Il denaro, universale mezzo di accesso al mondo delle merci e dei servizi, in sé é povero di contenuti, non restituisce un’esperienza di relazione, è rapido e non ha il sapore, il colore, la ricchezza che può avere un’esperienza di scambio personale, non mediato dal denaro. Sarà forse antico, ma forse anche più autentico, più vero.

 

Associazione Nazionale Banche del Tempo

Associazione materana Ciaffé