Egitto, elezioni nelle mani dell’eterno rais

articolo tratto da Nena News

Il Partito Nazional Democratico di Mubarak otterrà almeno i due terzi dei seggi e l’opposizione potrà solo spartirsi le briciole.

di AZZURRA MERINGOLO

Le elezioni della camera bassa del parlamento egiziano sono alla porta e sono molti coloro che temono che non saranno altro che l’ennesimo triste capitolo nero della storia elettorale egiziana. Ancor prima di sapere la data in cui queste avrebbero avuto luogo si conosceva il nome del partito vincitore e, anche per questo motivo, l’affluenza alle urne sarà ancora una volta  scarsa. Il Partito Nazional Democratico (Pnd) dell’attuale presidente Hosni Mubarak otterrà almeno i due terzi dei seggi e l’opposizione potrà solo spartirsi le briciole. Nel farlo fará ancora più fatica di quanta già ne fece nel 2005. Questo almeno quanto dicono gli osservatori elettorali, personaggi che appartengo alla società civile, timorosi infatti di veder limitate le loro possibilità di monitorare propriamente l’attività che avverrá all’interno dei seggi.

E’ quindi lecito ragionare sulla veridicità delle affermazioni fatte dall’eterno raís, al governo da trent’anni, che ha annunciato agli egiziani e al mondo intero che queste elezioni saranno più libere, giuste e trasparenti di quelle del 2005. Secondo alcuni membri del Pnd sono due le novità principali  che garantirebbero un maggior pluralismo politico: la creazione di una commissione di controllo elettorale e l’introduzione di una quota di 64 seggi riservata esclusivamente alle donne.  Con questa seconda iniziativa il governo cercherebbe di risolvere il problema della sotto rappresentanza femminile all’interno del parlamento egiziano al fine di portare il paese almeno in linea con gli standard delle altre nazioni della regione. Anche se agli occhi di un ingenuo osservatore l’introduzione della quota rosa potrebbe sembrare un segnale positivo nel processo di democratizzazione, questa sarebbe effettivamente funzionante solo qualora l’assegnazione di questi seggi fosse il risultato di una competizione davvero libera. Fino ad ora però tutti gli analisti concordano nel dire che sarà il partito del raís ad aggiudicarsi l’intera quota e questa finirà per essere l’ennesima mossa attraverso la quale il regime consoliderá il suo potere.

Fa discutere poi anche la creazione della commissione di controllo elettorale non solo perché se ne denuncia l’incapacità di riuscire a coprire l’intero territorio egiziano, soprattutto le zone rurali, ma perché sembra che questa sia una mossa fatta dal regime per giustificare il rifiuto di osservatori internazionali.

Diversamente da quanto accadde nel 2005, ufficiali del governo egiziano hanno negato la possibilità alle organizzazioni internazionali di inviare i propri osservatori dicendo che questi avrebbero interferito con l’amministrazione delle elezioni e avrebbero preso il posto degli attuali osservatori nazionali e tutto ciò avrebbe minato la sovranità nazionale egiziana.

Dietro tutto questo si nasconde però la paura di un regime che fa di tutto per imbavagliare e controllare l’opposizione al fine di ridurre al minimo indispensabile la sua presenza all’interno del parlamento e contenere la sua attività. Anche se in Egitto i gruppi di opposizione partecipano formalmente alle elezioni dal 1976, questi non sono mai stati in grado di fare effettivamente sentire la propria presenza in Parlamento e influire sul processo legislativo. Oltre a dominare tutte le istituzioni e le strutture amministrative del paese, infatti, il regime non si fa scrupoli a usare misure repressive che giustifica usando il pretesto dello stato di emergenza. Paradossalmente quindi, l’esistenza formale di un’opposizione (ininfluente) finisce per conferire legittimità a un sistema che si vuole presentare come «democratico e pluralista».

Negli ultimi anni il controllo del governo si è concentrato soprattutto sul movimento della fratellanza musulmana, soprattutto da quando questi, nel 2005, hanno ottenuto il 20 per cento dei seggi della Shura, la camera bassa del parlamento.

Per evitare che questo “errore” si ripeta, negli ultimi mesi il regime ha stretto la morsa attorno a tutti i mezzi di informazione. Si è infatti assistito a un crescente controllo della programmazione televisiva. Molti canali religiosi sono stati sospesi dicendo che istigavano il settarismo religioso e il governo ha messo il suo zampino anche nel mondo della carta stampa. A fare clamore è stato il licenziamento di Ibrahim Eissa dalla direzione di Al Doustur, voce importante dell’opposizione egiziana, dietro la quale si sono nascosti chiari interessi di natura elettorale. Un altro esempio si è presentato durante Ramadan con la trasmissione della serie Al Gamaa –il gruppo. Ripercorrendo la storia dei fratelli musulmani, il regime non ha fatto altro che dipingere questo movimento come violento. Il fine unico è stato quello di rovinare l’immagine della fratellanza in previsione delle elezioni.

Chi dissente dal regime dell’eterno faraone è quindi costretto a muoversi nei piccoli interstizi che il governo gli lascia e se questo discorso vale per tutti i partiti di opposizione, la situazione si complica ancora di più per la fratellanza, un movimento, e non un partito, bandito dal governo. Per continuare la sua attività politica il movimento si è visto costretto ad adottare alcuni escamotage. Non solo nomina i suoi candidati all’ultimo momento per non lasciare il tempo al regime di trovare il pretesto di arrestarli, ma si serve del web per veicolare il suo messaggio politico e allarmare la popolazione sulle intenzioni del governo.

E sarà proprio usando internet che i fratelli musulmani cercheranno di sopperire all’insufficiente monitoraggio delle prossime elezioni. In questi giorni hanno infatti presentato il secondo sito attraverso il quale si propongono di coinvolgere la popolazione nel monitoraggio del processo elettorale. Si chiama Shahid 2010 –shahid in arabo vuol dire testimone- (http://www.shahid2010.com) e invita i cittadini che notano ogni irregolarità elettorale a inviare immediatamente un messaggio nel quale denunciano la natura dell’irregolarità e dove questa è avvenuta. Monitoraggio elettorale a parte, lo stesso sito si propone di registrare le attività con le quali si limita la libertà di informazione e il lavoro dell’organizzazioni internazionali, interessandosi infine anche a monitorare i numerosi casi di molestie sessuali subite dalle donne.

articolo tratto da Nena News

Ti ricordi di Ken Saro Wiwa?

Un’anziana donna si era avvicinata a lui zoppicando. «Figlio mio, sono arrivati stamattina e hanno scavato tutto il mio terreno, il mio unico terreno. Hanno falciato il sudore della mia fronte, l’orgoglio di mesi di attesa. Dicono che mi daranno un risarcimento. Possono risarcire le mie fatiche? La gioia che provo quando vedo spuntare le piante? La rivelazione di cui Dio mi fa dono nella vecchiaia? Oh figlio mio, cosa posso fare?» Cosa poteva risponderle lui adesso? «Esaminerò la questione più tardi» aveva risposto umilmente. Esaminare la questione più tardi! Riuscì quasi a odiarsi per aver detto quella bugia. Maledisse la terra che faceva sgorgare il petrolio. Oro nero, lo chiamavano. E maledisse gli dèi che non prosciugavano i pozzi. Che importava che ogni giorno fossero estratti ed esportati milioni di barili di petrolio, fin quando questa povera donna piangeva quelle lacrime di disperazione? Cosa avrebbe dovuto esaminare più tardi? Poteva mettere a disposizione altra terra? E i legislatori avrebbero modificato le leggi solo per procurare un po’ di felicità a questi poveri disgraziati che la ricerca del petrolio aveva ridotto a una vita da animali? Avrebbero dovuto assegnare i diritti di sfruttamento del petrolio agli uomini le cui fattorie e terre erano state saccheggiate e distrutte. Ma gli avvocati erano alle dipendenze delle compagnie petrolifere e i governanti erano alle dipendenze degli avvocati. Quindi come poteva esaminare la questione più tardi? Avrebbe dovuto dire alla donna di disperarsi. Di morire. Di non vivere nella morte. Questo sarebbe stato più onesto e rispettabile.

 

Ken Saro-Wiwa, da “Foresta di fiori”, Edizioni Socrates

Una firma per Raphael e la sua schiena dritta

fonte: il fatto quotidiano

 

Un mese fa, nella rubrica di Report “C’è chi dice no”, Milena Gabanelli raccontava la storia di un italiano con la schiena dritta: Raphael Rossi, 35 anni, specializzato nella progettazione di sistemi per la raccolta differenziata, fino a quattro mesi fa vicepresidente dell’Amiat (l’azienda municipale per la raccolta dei rifiuti a Torino) indicato da Rifondazione comunista. Essendo incredibilmente competente in materia, tre anni fa Raphael ha scoperto che i vertici aziendali stavano brigando per acquistare (anzi per far acquistare dagli ignari cittadini torinesi) un macchinario inutile e costoso: una cosina da 4 milioni di euro. Incurante di sollecitazioni, ammiccamenti e lusinghe, Rossi ha tenuto duro e con i suoi rilievi tecnici ha bloccato l’acquisto. Allora s’è fatto vivo con lui l’ex presidente Amiat, Giorgio Giordano, facendogli balenare una bella tangente se non si fosse presentato in Cda a dire no all’acquisto. Rossi ha fatto ciò che ogni buon cittadino dovrebbe fare, infatti quasi nessuno fa: s’è rivolto alla Procura della Repubblica. I magistrati e la polizia giudiziaria l’hanno invitato a fingere di accettare la proposta indecente e, grazie a lui, hanno smascherato e incastrato i tangentari, arrestandoli e chiedendo il rinvio a giudizio di sette persone per reati che vanno dalla corruzione alla turbativa d’asta.

L’udienza preliminare inizia il 13 dicembre. Ma, come lui stesso ha raccontato a Report e poi ad Annozero, anziché ricevere complimenti e incoraggiamenti dall’Amiat e dal Comune di Torino (retto dal sindaco Pd Sergio Chiamparino) per il servigio reso alla collettività, Raphael è stato cacciato dall’Amiat (unico membro del vecchio Cda a non essere riconfermato) e isolato dalla politica, anche dal suo partito. Come nella migliore cultura mafiosa, chi collabora con la giustizia si rende inaffidabile nel suo ambiente. E diventa un ingombro, un appestato. Di più. Nel comunicato emesso dopo il servizio di Report, il Comune di Torino annuncia che l’Amiat si costituirà parte civile contro l’ex presidente Giordano (ma non contro il direttore dell’ufficio acquisti, pure lui imputato e tuttora in servizio) e curiosamente minimizza i reati contestati citando solo la turbativa d’asta, non la corruzione.

Perché non si costituisce parte civile anche il Comune? E, soprattutto, perché né l’Amiat né il Comune hanno offerto a Rossi l’assistenza legale? E’ dal 2007, quando sventò la tentata corruzione facendo risparmiare ai torinesi 4 milioni che Raphael si paga l’avvocato e continuerà a farlo per tutto il processo in cui, ovviamente, è lui stesso parte lesa. Poi certo, fra una decina d’anni, se gli imputati verranno condannati, gli saranno rimborsate le spese legali e forse anche qualche euro di risarcimento. Ma intanto viene lasciato solo, mandato allo sbaraglio senza coperture politiche e istituzionali.

Forse il sindaco Chiamparino e l’Amiat hanno altro a cui pensare, ma è bene che sappiano qual è il messaggio che trasmettono alla società: chi denuncia un caso di corruzione lo fa a suo rischio e pericolo, insomma deve sapere che si ritroverà solo in tutte le fasi della sua battaglia. Che è e rimarrà solo sua. Le istituzioni non c’entrano, anzi ne farebbero volentieri a meno. Così magari, la prossima volta, il Raphael Rossi di turno chiuderà un occhio, conserverà il posto e magari si metterà in tasca qualche migliaio di euro. Poi, naturalmente, tutti a scandalizzarsi se l’Italia scivola al 67° posto nella classifica di Transparency International, ultima in Europa, scavalcata pure dal Ruanda; e se il presidente dell’Antimafia Pisanu denuncia “disinvoltura nella formazione delle liste, gremite di persone indegne di  rappresentare chiunque”. Un gruppo di cittadini ha lanciato un appello al Comune di Torino perché si costituisca parte civile e non lasci solo Raphael Rossi. Lo pubblichiamo sul sito del Fatto Quotidiano. Le firme della redazione del Fatto sono assicurate. Quelle degli amici lettori, speriamo, anche.
Firma l’appello