Ti ricordi di Ken Saro Wiwa?

Un’anziana donna si era avvicinata a lui zoppicando. «Figlio mio, sono arrivati stamattina e hanno scavato tutto il mio terreno, il mio unico terreno. Hanno falciato il sudore della mia fronte, l’orgoglio di mesi di attesa. Dicono che mi daranno un risarcimento. Possono risarcire le mie fatiche? La gioia che provo quando vedo spuntare le piante? La rivelazione di cui Dio mi fa dono nella vecchiaia? Oh figlio mio, cosa posso fare?» Cosa poteva risponderle lui adesso? «Esaminerò la questione più tardi» aveva risposto umilmente. Esaminare la questione più tardi! Riuscì quasi a odiarsi per aver detto quella bugia. Maledisse la terra che faceva sgorgare il petrolio. Oro nero, lo chiamavano. E maledisse gli dèi che non prosciugavano i pozzi. Che importava che ogni giorno fossero estratti ed esportati milioni di barili di petrolio, fin quando questa povera donna piangeva quelle lacrime di disperazione? Cosa avrebbe dovuto esaminare più tardi? Poteva mettere a disposizione altra terra? E i legislatori avrebbero modificato le leggi solo per procurare un po’ di felicità a questi poveri disgraziati che la ricerca del petrolio aveva ridotto a una vita da animali? Avrebbero dovuto assegnare i diritti di sfruttamento del petrolio agli uomini le cui fattorie e terre erano state saccheggiate e distrutte. Ma gli avvocati erano alle dipendenze delle compagnie petrolifere e i governanti erano alle dipendenze degli avvocati. Quindi come poteva esaminare la questione più tardi? Avrebbe dovuto dire alla donna di disperarsi. Di morire. Di non vivere nella morte. Questo sarebbe stato più onesto e rispettabile.

 

Ken Saro-Wiwa, da “Foresta di fiori”, Edizioni Socrates

Una firma per Raphael e la sua schiena dritta

fonte: il fatto quotidiano

 

Un mese fa, nella rubrica di Report “C’è chi dice no”, Milena Gabanelli raccontava la storia di un italiano con la schiena dritta: Raphael Rossi, 35 anni, specializzato nella progettazione di sistemi per la raccolta differenziata, fino a quattro mesi fa vicepresidente dell’Amiat (l’azienda municipale per la raccolta dei rifiuti a Torino) indicato da Rifondazione comunista. Essendo incredibilmente competente in materia, tre anni fa Raphael ha scoperto che i vertici aziendali stavano brigando per acquistare (anzi per far acquistare dagli ignari cittadini torinesi) un macchinario inutile e costoso: una cosina da 4 milioni di euro. Incurante di sollecitazioni, ammiccamenti e lusinghe, Rossi ha tenuto duro e con i suoi rilievi tecnici ha bloccato l’acquisto. Allora s’è fatto vivo con lui l’ex presidente Amiat, Giorgio Giordano, facendogli balenare una bella tangente se non si fosse presentato in Cda a dire no all’acquisto. Rossi ha fatto ciò che ogni buon cittadino dovrebbe fare, infatti quasi nessuno fa: s’è rivolto alla Procura della Repubblica. I magistrati e la polizia giudiziaria l’hanno invitato a fingere di accettare la proposta indecente e, grazie a lui, hanno smascherato e incastrato i tangentari, arrestandoli e chiedendo il rinvio a giudizio di sette persone per reati che vanno dalla corruzione alla turbativa d’asta.

L’udienza preliminare inizia il 13 dicembre. Ma, come lui stesso ha raccontato a Report e poi ad Annozero, anziché ricevere complimenti e incoraggiamenti dall’Amiat e dal Comune di Torino (retto dal sindaco Pd Sergio Chiamparino) per il servigio reso alla collettività, Raphael è stato cacciato dall’Amiat (unico membro del vecchio Cda a non essere riconfermato) e isolato dalla politica, anche dal suo partito. Come nella migliore cultura mafiosa, chi collabora con la giustizia si rende inaffidabile nel suo ambiente. E diventa un ingombro, un appestato. Di più. Nel comunicato emesso dopo il servizio di Report, il Comune di Torino annuncia che l’Amiat si costituirà parte civile contro l’ex presidente Giordano (ma non contro il direttore dell’ufficio acquisti, pure lui imputato e tuttora in servizio) e curiosamente minimizza i reati contestati citando solo la turbativa d’asta, non la corruzione.

Perché non si costituisce parte civile anche il Comune? E, soprattutto, perché né l’Amiat né il Comune hanno offerto a Rossi l’assistenza legale? E’ dal 2007, quando sventò la tentata corruzione facendo risparmiare ai torinesi 4 milioni che Raphael si paga l’avvocato e continuerà a farlo per tutto il processo in cui, ovviamente, è lui stesso parte lesa. Poi certo, fra una decina d’anni, se gli imputati verranno condannati, gli saranno rimborsate le spese legali e forse anche qualche euro di risarcimento. Ma intanto viene lasciato solo, mandato allo sbaraglio senza coperture politiche e istituzionali.

Forse il sindaco Chiamparino e l’Amiat hanno altro a cui pensare, ma è bene che sappiano qual è il messaggio che trasmettono alla società: chi denuncia un caso di corruzione lo fa a suo rischio e pericolo, insomma deve sapere che si ritroverà solo in tutte le fasi della sua battaglia. Che è e rimarrà solo sua. Le istituzioni non c’entrano, anzi ne farebbero volentieri a meno. Così magari, la prossima volta, il Raphael Rossi di turno chiuderà un occhio, conserverà il posto e magari si metterà in tasca qualche migliaio di euro. Poi, naturalmente, tutti a scandalizzarsi se l’Italia scivola al 67° posto nella classifica di Transparency International, ultima in Europa, scavalcata pure dal Ruanda; e se il presidente dell’Antimafia Pisanu denuncia “disinvoltura nella formazione delle liste, gremite di persone indegne di  rappresentare chiunque”. Un gruppo di cittadini ha lanciato un appello al Comune di Torino perché si costituisca parte civile e non lasci solo Raphael Rossi. Lo pubblichiamo sul sito del Fatto Quotidiano. Le firme della redazione del Fatto sono assicurate. Quelle degli amici lettori, speriamo, anche.
Firma l’appello

Rifiuti culturali

di Maurizio Pallante e Andrea Bertaglio – 09/11/2010

Fonte: ilfattoquotidiano

 

La Gran Bretagna produce circa 400 milioni di tonnellate di rifiuti ogni anno, e il problema di come smaltirle è visto, anche lì, come una delle principali sfide ambientali del Paese. Il Regno Unito (anche se quello dei rifiuti è un problema quasi prettamente inglese, più che britannico) è da tempo sotto pressione per riuscire a rispettare i target europei che impongono di ridurre la quantità di rifiuti che finiscono nelle discariche e negli inceneritori, dato che (in tutta Europa) nessuno ha ancora negato il fatto che questi ultimi siano terribilmente dannosi per la salute e decisamente svantaggiosi dal punto di vista economico.

In mancanza di ministri (o primi ministri) che facciano magicamente scomparire l’immondizia sotto il tappeto come si è fatto e si vuole rifare in Campania, o che promuovano per motivi più o meno occulti gli inceneritori, il governo britannico, in realtà già dai tempi di Gordon Brown, sta cercando di scongiurare almeno il rischio delle sanzioni da 500 mila sterline al giorno che i suoi contribuenti dovrebbero pagare nel caso non dovesse rispettare, entro la fine del 2010, le regole dell’Unione riguardanti appunto lo smaltimento dei rifiuti.

La strada da percorrere, quindi, è anche lì ancora lunga. Soprattutto perché, come in Italia, è un problema culturale. Nonostante si stia giustamente parlando di riciclaggio e di riuso, infatti, nessuno ha ancora parlato di riduzione, la vera chiave del problema dei rifiuti. Il mito della crescita economica e dei consumi sarà molto duro a morire nella culla del capitalismo e dell’industrializzazione. E in un momento di ormai dichiarata crisi economico-finanziaria, nemmeno i politici più virtuosi, impavidi ed intraprendenti si sognerebbero di dire che l’unico modo per ovviare al problema sarebbe quello di ridurre i consumi, in una società iper-consumistica come quella inglese. Nessuno sarebbe ancora disposto a mettere in discussione gli stili di vita anglo-americani, che hanno ormai contagiato gran parte del globo, proprio laddove sono nati.

Forse solo alcuni scienziati indipendenti ed alcuni intellettuali hanno il “coraggio” di demistificare e di mettere in discussione i meccanismi sociali e psicologici che mantengono in moto la macchina dei consumi. Uno di questi è sicuramente il celebre sociologo britannico (seppur di origine polacche) Zygmunt Bauman, il quale afferma:

– In una società “liquido-moderna” (ossia una società nella quale le situazioni in cui agiscono gli uomini si modificano prima che i loro modi di agire riescano a consolidarsi in abitudini e procedure, ndt), l’industria di smaltimento dei rifiuti assume un ruolo dominante nell’ambito dell’economia. La sopravvivenza di tale società e il benessere di coloro che ne fanno parte dipendono dalla rapidità con cui i prodotti vengono conferiti alla discarica e dalla velocità e dall’efficienza con cui gli scarti vengono rimossi. In una società simile a nulla può essere concesso di restare più dello stretto necessario. La costanza, la resistenza e la vischiosità delle cose, inanimate e animate, costituiscono il più sinistro e grave dei pericoli, sono la fonte delle peggiori paure e il bersaglio delle aggressioni più violente. La vita nella società liquido-moderna non può mai fermarsi. Deve modernizzarsi o perire. Spinta dall’orrore della scadenza, non richiede più di essere trainata dai sogni delle meraviglie immaginate come esito estremo dei travagli della modernizzazione. Ciò che bisogna fare è correre con tutte le forze semplicemente per rimanere allo stesso posto, a debita distanza dalla pattumiera dove gli altri sono destinati a finire. […] I rifiuti sono il prodotto principale, e probabilmente il più abbondante, della società dei consumi liquido-moderna; tra tutte le industrie della società dei consumi, la produzione dei rifiuti è la più massiccia e non conosce crisi. Lo smaltimento dei rifiuti è perciò una delle principali sfide che la “vita liquida” ha di fronte; l’altra riguarda il rischi di finire tra i rifiuti.- *

Per Bauman “vita liquida” significa autoesame, autocritica ed autocensura costante; si alimenta dell’insoddisfazione dell’io rispetto a se stesso. È la paura di finire fra i rifiuti, se non abbastanza al passo con i tempi. Non è per caso la nostra attuale situazione? Il punto debole delle stesse relazioni umane al giorno d’oggi? Non è questa l’origine, ancor prima delle mafie e della cattiva gestione, di tutte le “emergenze rifiuti”, e l’origine di ogni forma di inquinamento: il continuo senso di inadeguatezza, il vuoto interiore che in molti pensano di poter riempire con un sacco di oggetti inutili dalla breve durata?

*: Zygmunt Bauman, “Liquid life”, Polity Press, 2005; edizione italiana: “Vita liquida”, Ed. Laterza, 2008

Non per profitto

Il Potere del sapere

Stiamo inseguendo i beni materiali che ci piacciono, e ci danno sicurezza e conforto: quelli che lo scrittore e filosofo indiano Rabindrath Tagore chiamava il nostro “rivestimento” materiale. Ma sembriamo avere dimenticato le capacità di pensiero e immaginazione che ci rendono umani, e che ci permettono di avere relazioni umanamente ricche invece di semplici legami utilitaristici. Se non siamo educati a vedere noi stessi e gli altri in questo modo, immaginando le reciproche capacità di pensieri e di emozione, la democrazia è destinata a entrare in crisi perché si basa sul rispetto e l’attenzione per gli altri. Questi sentimenti, a loro volta, si basano sulla capacità di vedere le altre persone come esseri umani e non come oggetti.

Martha Nussbaum, da “Non per profitto” – Edizioni Il Mulino

articolo su “Internazionale”